interviste

DEI TIRSI DIVINI: DIECI DOMANDE A PAOLO MENON

Potrebbe dirci chi è stato ad aver l’idea di una mostra con tema l’antica Grecia e Dioniso?

«L’idea nasce da una ricerca sui poeti classici greci e latini sollecitatimi casualmente dalla lettura di un’Ansa che annunciava qualche anno fa il ritrovamento del tempio di Dioniso sui Monti Rodopi, ai confini tra Bulgaria e Grecia, da parte di una spedizione di archeologi bulgari. La notizia non ha fatto scalpore, ma unita alla mia predilezione per l’arte greco-romana e alla curiosità per “Le Dionisiache” del poeta epico Nonno di Panopoli che in seguito ho letto, ne ho tratto ispirazione per realizzare 30 rilievi pitto-scultorei, tra cui due stele, una pala, alcuni piatti dogati, lo schienale di un soglio liturgico e un portale immaginario del tempio. L’insieme delle opere, ospitate a Valdobbiadene nelle splendide sale museali di Villa dei Cedri e adibite a nuova galleria d’Arte contemporanea, vuole evocare la sala dei riti dionisiaci ritrovata nell’antica città di Perpèrikom».

La mostra “Dei tirsi Divini” è di per sé una storia del culto di Dioniso… che cosa l’ha colpito di più di questo ‘Dio’? Che cosa ci può insegnare ancora oggi la sua figura e la sua dottrina?

«Con questa mostra intendo raccontare per immagini tridimensionali alcuni micro-tasselli di storie antiche, soffermandomi di tanto in tanto sull’estetica del culto dionisiaco che ho voluto interpretare ispirandomi agli affreschi e ai pavimenti musivi ritrovati a Pompei, Ercolano e Oplontis (oggi Castellammare di Stabbia). Per fare ciò, ho dovuto imbastire le emozioni provate nell’osservare la “modernità” di alcune decorazioni parietali del tempo, col filo dell’ironia, rispettare i canoni della bellezza rappresentandoli con i colori spirituali del bronzo o “di bronzea serenità”, come scrive in catalogo il critico e storico dell’Arte milanese, Giorgio Falossi.

Dioniso — o Bacco per l’antica Roma — tuttavia dev’essere stato un “tipino” non così serenizzante come potrebbe apparire a prima vista, soprattutto se preso a sorsate generose durante i banchetti olimpici, o libando assieme ai mortali che lo veneravano: un dio per così dire spigoloso e sorprendentemente amabile, sospettoso e affidabile, sensuale e crudele al tempo stesso. Insomma, il dio del Tutto e dell’Opposto di tutto, come la vita e la morte, la luce e l’ombra, il riso e il pianto, l’amore e l’odio».

Cosa potrebbe insegnarci oggi un dio di questa fatta?

«Forse molto, o poco, non saprei… o, meglio, una lezione potrebbe darcela: imparare a correre ai ripari dai cataclismi provocati non più dall’ira degli dèi, ma dall’arroganza dell’uomo che crede di sostituirsi a lui».

Certi studiosi fanno dei paralleli tra Dioniso e la figura del Cristo, lei cosa ne pensa? Il “Soglio liturgico” mi ha suggerito questa domanda…

«Il loro pensiero è indubbiamente più profondo e colto del mio. Io mi esprimo da artista. E come scultore ho chiesto alla materia di assecondarmi incondizionatamente nell’equazione che più mi stava a cuore nell’elaborare i miei rilievi e cioè che il Vino stesse al Sangue come il Tirso alla Croce. Non voglio con ciò scandalizzare nessuno, semmai ricordare che il Tirso era sì per i seguaci di Dioniso un lungo e nodoso bastone inghirlandato d’edera, pampini, pigne e quant’altro ostentasse gioia ai Baccanali per festeggiare il dio dell’ebbrezza, ma il Tirso era pur sempre un’arma, una vera e propria picca di guerra da scagliare contro il nemico per trapassarlo a morte con crudeltà. La stessa utilizzata per trafiggere le carni di un uomo inchiodandolo al legno di una croce. Ecco perché la profanità e la sacralità delle figure di Dioniso e di Cristo hanno in un certo senso catturato le mie emozioni per restituirle nei miei lavori. In ogni caso, il parallelismo delle due Figure mi ha spronato a modellare, evocando i colori bronzei della preghiera sia il “Soglio liturgico”, simbolo terreno di chi rappresenta Dio e la comunità dei suoi fedeli sia il pannello “Da Dioniso a Cristo” con cui ho voluto esplicitare un linguaggio segnico più narrativo sul loro straordinario parallelismo».

Valdobbiadene è una città piccola fra splendide montagne dolci come colline, ma molto aperta nei confronti della cultura e dell’arte, che differenze ha trovato rispetto a una metropoli, come Milano, per esempio, nell’allestire e studiare una mostra qui fra le colline del Prosecco? Nelle sculture in esposizione si intravedono molte tracce di Surrealismo, se mi è concesso chiamarle tracce… secondo lei un artista deve sempre provocare? Per allargare il concetto, qual è la funzione dell’arte? Che cosa deve dare a chi ne è spettatore?

«Se l’arte non provocasse emozioni – e per emozioni intendo qualsiasi tipo di reazione che un’opera può sollecitare in chi la sta osservando – farei bene a cambiare mestiere. L’arte deve necessariamente fare riflettere sui temi della vita con spirito critico, ironico, nuovo e libero. Quanto alle “molte tracce” di surrealismo che lei ha notato nei miei lavori, non posso che assecondarla, incoraggiandola a intravederne altre… Ogni traccia, in fondo, è segno di un passaggio e dunque di una presenza diversa dalla mia ombra… Mi lusinga scoprire di “camminare” in compagnia dei grandi maestri del Surrealismo che spesso ho amato da giovane e che continuano ad interessarmi».

Che cosa pensa del vino? Le piace berlo? Ha importanza nella sua ispirazione un buon bicchiere di vino?

«Chi non beve un'”ombra” in compagnia non sa gustare la vita: un buon bicchiere di vino è salute, aggregazione, aiuta la meditazione, stimola la creatività. La convinzione di Folon, poeta- disegnatore, è che “il vino e l’arte abbiano un rapporto profondo, perché nascono dalla passione e dalla dedizione” e che “entrambi richiedono grande pazienza”. Faccio mie le parole del grande artista belga, recentemente scomparso, per rispondere alla sua domanda; anzi, mi fa piacere ricordarlo in questa circostanza».

Questa mostra “Dei tirsi Divini” durerà fino a dicembre…per caso avrà un seguito? Voglio dire, le faccio una domanda surrealista: se alcuni produttori di vino decidessero di creare delle riproduzioni delle sue opere e inserirle a mo’ di etichetta (ma di cui chiaramente sia data informazione che non è una semplice etichetta, ma uno sposalizio di mezzi di comunicazione) che cosa direbbe? Le piacerebbe l’idea?

«Nulla in contrario, anzi, sostengo che l’etichetta d’arte quando si presta a illustrare le qualità di un vino sia, rispetto ad altre vestite comunque di eleganza grafica, più suadente agli occhi del consumatore. Preferirei però che il vignaiolo illuminato e appassionato d’arte acquisisse fra le tante l’opera che più gli assomigli nello spirito: quello con cui, in fondo, ha creato o sta creando il “suo” vino».

Di tutte queste sculture, ce n’è una in particolare da cui non si separerebbe mai?

«Sì, quella che non ho ancora… abbozzato! ».

Si pensa che ogni artista abbia un padre ispiratore, qualcuno che l’ha messo sul cammino dell’arte… se anche per lei è così, chi è stato colui?

«Diversi “padri” dell’arte contemporanea mi hanno donato uno specchio per guardarmi dentro prima di esprimermi con qualsiasi mezzo; mi ritengo perciò fortunato. Devo comunque riconoscere che l’ispirazione nasce soprattutto quando guardo alle opere e al genio dei maestri del Rinascimento».

Adesso la decima domanda, facciamo sempre dieci domande… Sfogliando il catalogo si ha giustamente l’idea del profondo studio che sta dietro a questa mostra, uno studio che non è solo pura erudizione, ma anche ricerca esaustiva di un legame fra testi antichi e appunto vino applicati all’arte, il tutto si inserisce alla perfezione nel ‘Forum degli spumanti d’Italia 2006’. Ci sembra questo un approccio molto bello e anche un suggerimento profondo di soluzione all’eterno conflitto tra mondo del lavoro e mondo della scuola, lei cosa ne pensa? Potrebbe appunto essere questa una soluzione applicabile per rendere il mondo della scuola, molto teorico, più vicino al mondo del lavoro e viceversa, uno stimolo per quelle scuole ultra specialistiche dove le materie artistiche letterarie sono di secondo e terzo piano rispetto ad altre materie più utili? (non per fare nomi, perché c’è sempre l’eccezione ma in genere in scuole tipo un alberghiero le materie letterarie sono…le ancelle della situazione).

«Il Forum degli Spumanti d’Italia è una vetrina nazionale e internazionale davvero speciale per il vino che dev’essere fatto ad arte senza perdere di vista sia le più raffinate tecnologie di domani sia le migliori tradizioni enoiche di ieri. Ritengo che il Forum di Valdobbiadene sia una naturale sede espositiva, un ideale proscenio per esporre idee e metabolizzare cultura vitivinicola. Ma anche, me lo lasci dire, la migliore galleria d’arte per chi come me ha realizzato e ha nel cuore progetti di pittura e scultura bacchiche.

Penso perciò, rispondendo all’ultima parte della domanda, che gli studenti delle scuole medie inferiori e superiori, professionali e licei possano trovare motivo di interesse e curiosità per la mitologia classica greco-romana, prendendo spunto – perché no? – anche da qualche mio lavoro. Credo che i giovani siano molto sensibili al fascino della bellezza e ad apprendere con l’ausilio dell’arte il senso di alcuni personaggi mitologici che raramente animano le loro fantasie prima ancora di animare la volontà di studiarli.

Il mio auspicio, perciò, è di curiosare nel Mito bacchico, attraverso il filtro dell’ironia, con totale libertà critica sia da parte degli studenti che dei loro insegnanti. Probabilmente qualcuno strizzerà l’occhio alla bella Ebe, altri vorranno brandire come le Baccanti i tirsi “divini”. L’importante è riuscire a buttare un seme sulla terra, in assenza di vento e aldilà delle pietre».

RASSEGNA STAMPA

Intervista di Federico De Nardi, da: Abcveneto.it, 2006.

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