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PAOLO MENON: L’ITALIA, SCRIGNO DI TESORI D’ARTE A CIELO APERTO NON PRIMEGGIA PER EDUCAZIONE ARTISTICA

L’arte è un passo che dalla natura va verso l’infinito» diceva Kahlil Gibran. Le opere di Paolo Menon rispecchiano il pensiero del celebre filosofo libanese: nascono da materiali naturali per poi seguire un universo creativo infinito, che trasporta verso mete ed epoche lontane. Giornalista, scrittore, scultore, negli anni Ottanta Paolo Menon è stato anche graphic designer e co-fondatore del mensile Max. In questa intervista Paolo Menon spiega come è mutato il significato della parola ‘artista’ nel corso degli anni, descrive l’attuale rapporto tra artista e pubblico, parla della disattenzione di media e istituzioni nei confronti dell’arte, puntando il dito sulla scarsa divulgazione dell’educazione artistica che miete le sue vittime soprattutto tra i giovani.

Cosa significa essere «artista» oggi, rispetto gli anni passati?

«Oggi più di ieri l’artista è responsabile del linguaggio visivo e dei gesti creativi con cui esprime il suo pensiero, soprattutto se affidato ai mezzi di comunicazione, in particolare sul web dove una moltitudine di lettori passa al setaccio anche le virgole. L’artista di ieri apparteneva per così dire alle tribù intellettuali e politiche del proprio Paese per poi confrontarsi ed essere confrontato col resto del mondo; mi riferisco ai grandi movimenti artistici del passato come l’espressionismo, il cubismo e poi il futurismo, l’astrattismo, il surrealismo, il dadaismo e altri ancora, nati in contesti socio-politici storicamente complessi.

Oggi l’artista non appartiene più ad alcun movimento: fa parte di un unico popolo multietnico, culturalmente frammentato, forse sedotto e disorientato al tempo stesso dal mercato globale che gli chiede di generare business online prima ancora di conoscere e condividerne i saperi. L’artista di oggi è sicuramente tormentato – soprattutto se giovane – dall’ossessiva ricerca di nuove conquiste dell’arte, e lo fa con sfrenato individualismo.

Ho letto in proposito da qualche parte che siamo ormai giunti a un punto di non ritorno oltre il quale non c’è più nulla da inventare e scoprire. Se così fosse inizieremmo a convivere quotidianamente con una parola che per quanto mi riguarda non avrei mai voluto sentire né pronunciare: decadenza. Sicuramente non è facile essere artisti oggi perché — ammettiamolo senza falsi pudori — il vuoto c’è e si vede… Mi è capitato recentemente di conoscere una giovane pittrice a un vernissage della Permanente di Milano. “Cosa fai?”, mi chiede inaspettatamente, specificando: “videoarte, pittura, disegno, musica, performance o installazioni?”. “Scultura”, rispondo incuriosito e un tantino seccato perché non l’ha elencata. Lei si aggiusta un sorriso malizioso e aggiunge: “Ah! Non farai anche tu marmi e bronzi per cimiteri? Sai, la gente è stufa di vecchi materiali per arredare casa e giardino… non sa più cosa comprare! Ma da quando dipingo sui piatti di plastica che poi incollo alla tela ho risolto i miei problemi”. Le rispondo provocatoriamente: “Complimenti! Posso sempre scolpire il polistirolo rispetto all’orribile marmo che utilizzava Michelangelo, così risolverò anch’io i miei problemi… Del resto”, insisto, “lo sanno pure cani e porci che il polistirolo è una materia nobilissima, soprattutto eterna!”. Mi accorgo subito di avere tantino esagerato, ma non volevo ferirla, lo giuro, decido perciò di porgerle le mie scuse, quando “Questa sì che è un’idea fichissima!”, mi risponde con piglio raggiante… Poi, dall’alto delle sue zeppe viola, mi allunga il suo biglietto di visita e mi saluta sgattaiolando verso il buffet.

Stordito, mi chiedo se la giovane collega sia del tutto registrata… Se la gente disorientata e indecisa sulla scelta dei materiali con cui arredare la propria casa, come lei sostiene, non sia invece frutto della sua stessa immaginazione… Se sia vera arte tutto ciò che si riversa sui mercati internazionali – argomento di conversazione sempre più diffuso nei vernissage, nei salotti, nelle cene tra amici o tra colleghi più di quanto si pensi – e ciò m’inquieta perché non riesco a darmi una risposta».

Non vuole provarci ora?

«Se fosse tutta vera arte quella presente sui mercati, si ridurrebbe paradossalmente il numero di tanti artisti di talento, anche giovani, meno patrocinati dalla critica opulenta, artisti che fanno Arte per vocazione con senso dell’etica e il gusto per ciò che è bello e durevole, a prescindere dalle facili mode che alimentano i mensili di design e arredamento. Spero di non essere accusato di blasfemia se sostengo che gli stili del passato hanno sempre generato Bellezza – con l’iniziale maiuscola – anche quando questa comunicava dolore, disagio e sofferenza spirituale dell’Uomo. La Bellezza scaturente dalle opere d’arte di ieri ha spesso contribuito ad appagare il bisogno di felicità nell’individuo, a esplorare le profondità del nostro essere, a motivare le scelte del nostro agire non solo estetico, a sollecitare emozioni e nuovi pensieri creativi in chiunque la guardasse.

Essere artista oggi rispetto al passato potrebbe far riflettere seriamente sulla responsabilità di trasporre la cosa creata all’interiorità di chi la guarda per scoprirne – nel dettaglio o nell’insieme non ha importanza – il valore etico che l’ha ispirata. Quindi – mi ripeto – non riesco a dare una risposta in senso assoluto al tormentone cui accennavo. Ciascuno di noi, in fondo, ha occhi per vedere quanta cultura artistica contemporanea sia passata sotto i ponti negli ultimi decenni e quanta abbia contribuito a farci vibrare di emozione.

Si parla tanto di cultura, per l’appunto, e di arte. Sono moltissime le mostre e gli eventi culturali che vengono organizzati ogni anno».

E’ cambiato il rapporto tra artista e pubblico nel corso degli anni?

«L’artista e il non-artista che non si conoscono s’incontrano comunque nel corso degli innumerevoli eventi culturali che scandiscono il calendario annuale di ogni Paese. Come? L’oggetto-arte diventa in un certo senso soggetto di riflessioni inattese che s’intrecciano a pensieri profondi, anche surreali persino equivoci, pur di risalire alle ragioni per le quali ciò che è stato creato e che stiamo ammirando — insisto sui sentimenti — ci emoziona. Da qui l’incontro del visitatore con chi ha creato l’opera. Sì, penso che il pubblico nel corso degli anni sia cambiato qualitativamente in meglio. Che sappia porsi di fronte al lavoro dell’artista con autonomia, coinvolgimento, pensiero critico, e non più o soltanto con la curiosità di chi passa in rassegna l’esposizione pur di dare colore e spessore alla sua giornata dedicata alle arti. Penso che l’esperienza estetica vissuta dal visitatore d’oggi si riveli preziosa anche per i musei e le gallerie sempre alla ricerca del target più adatto ai contenuti in catalogo. Penso che il marketing dei musei più importanti investano sempre più spesso nella ricerca qualitativa per meglio esporre e comunicare le proprie collezioni o le esposizioni temporanee a cui gli italiani pare siano sempre più affezionati. Insomma, ho la sensazione che il pubblico stia ottenendo sempre più centralità e attenzione dal sistema-arte rispetto a qualche decennio fa. Ma, come dicevo, è una mia sensazione».

Secondo lei nel nostro Paese vi è abbastanza rispetto per l’arte?

«Il rispetto presuppone conoscenza. E l’Italia che è uno scrigno di tesori d’arte a cielo aperto, paradossalmente non primeggia per educazione artistica. Lei può assicurarmi che in Italia i bambini siano educati sistematicamente alla storia dell’arte e alla comprensione delle opere contemporanee dentro e fuori le mura scolastiche? Provi a chiedere a un ragazzo chi sia Pissarro o Schifano, Rodin o Pomodoro, tanto per citare quattro nomi celebri senza pensarci troppo. Lei pensa di ottenere risposte corrette? Non occorre che mi risponda… ».

Media e istituzioni: si potrebbe fare di più per valorizzare l’arte e gli artisti italiani?

«Certamente, come potrei non desiderarlo? E ho un’idea in proposito: chiederei alle istituzioni di fondare il più grande Centro nazionale di incontri artistici – dove non ha importanza – capace di ospitare quotidianamente intere scolaresche provenienti da tutti i paesi e città italiane per conoscere e interagire con una selezione di artisti invitati a esporre i loro lavori e per ammirare le opere «a tema» dei maestri dell’arte internazionale provenienti dalle collezioni di tutto il mondo. Ai media chiederei di seguirli, confluendo in un format televisivo giornaliero – anche online, s’intende, sto solo sognando a voce alta – mirato all’educazione artistica delle scuole di ogni grado».

Lei è giornalista, scrittore, scultore protagonista di molte mostre e autore di diversi eventi d’arte dove la genialità è un po’ la sua firma, il suo marchio. Cos’è per lei la creatività?

«È pensiero allo stato puro con cui sono fatti i sogni che prendono forma. E’ originare il principio della creazione senza la quale nulla è reale. Che altro dire? Tutto il resto è talento che si ha o non si ha. Quanto al mio — scarabocchiavo con le chine sui piallacci già a cinque anni nella bottega di mio padre… Dio sa quante ne devo aver combinate! — so che mi sprona ininterrottamente da allora ad essere me stesso».

Gli italiani hanno ancora la mente creativa e la genialità dei grandi artisti che hanno reso gloriosa l’arte italiana?

«Assolutamente, ma se non ci sono mecenati che credano in loro, c’è poco da creare e dimostrare di possedere il genio. In sintesi, le solite banche si fidano dei soliti grandi nomi dell’arte contemporanea o moderna anche se ipercelebrati e obsoleti. E non c’è verso che rischino più di tanto. Perciò non resta che bussare, come al solito, alla porta dei soliti Paesi che li ospitano proprio perché sono creativi italiani a cui credere e su cui investire. In Italia, ad eccezione dei favolosi anni Ottanta, non c’è posto per questa mentalità e per chi usa la testa: si deve impegnare altrove, purtroppo! Del resto l’adagio: «Nemo propheta in patria» non muta dai tempi di Cristo. Che l’ha pronunciato».

Cosa pensa degli artisti delle nuove generazioni?

«Nulla e tutto il bene possibile. So che sono stati fatti studi anche recenti sull’argomento interpellando sociologi, critici, curatori, esperti di settore proprio per delineare gli scenari futuri dell’arte contemporanea. Pare che il Belpaese ne esca artisticamente vivace, ma sempre marginale rispetto alle avanguardie mondiali. Dunque spero che i promotori della creatività italiana siano sempre più affascinati dalla Bellezza, lungimiranti e mecenati generosi così che le nuove generazioni di artisti italiani possano trarne beneficio e non dovere esprimere altrove il loro genio».

Il prossimo autunno lei sarà al centro di una grande mostra che si terrà a Roma. Di cosa si tratta?

«Sarà una personale di scultura che si può riassumere con un titolo forte e semplice: “L’Uomo tra Dioniso e Cristo”. Un contributo a esplorare l’intimità dell’Uomo d’oggi in bilico tra le ideologie che trasformano «l’uomo in un dio, che fa dell’arbitrarietà il proprio sistema di comportamento», come sostiene Benedetto XVI, il Papa teologo che stimo profondamente. Il prof. Gaspare Mura, docente di Ermeneutica filosofica presso la Pontificia Università Lateranense, riflettendo sul mito dionisiaco a cui tutto il mio lavoro s’ispira (mito evocato da una mia precedente personale di sculture esposte nel 2006 a Villa dei Cedri di Valdobbiadene nel Trevigiano) scriveva in catalogo che — se mi permette, vorrei leggere testualmente — «la molteplicità delle epifanie e delle trasformazioni di Dioniso è ancora oggetto di studio tra gli storici delle religioni, come pure la sua irruenta penetrazione in popoli, culture e religioni diverse. Certa è la sua capacità di simboleggiare il grande mistero della vita e della morte, in cui sono coinvolti insieme la natura, l’uomo e lo stesso dio. È per questa sua ricca simbologia che i Tirsi divini (“Dei tirsi divini. Rilievi di luce bronzea nel tempio onirico di Dioniso” è il titolo integrale della personale di Menon, ndr) in onore di Dioniso possono essere trasfigurati in allegoria di ciò che realmente si realizzerà nel mistero cristiano, che è mistero di morte e di resurrezione, di trasformazione dell’acqua in vino e del vino in sangue eucaristico, di trasfigurazione della natura tutta nell’icona del corpo del Risorto”.

I miei lavori sono in bronzo, ferro, biscuit di porcellana, terracotta patinata e materiali compositi in cui riprendo il mito arcaico e pure attualissimo di Dioniso e della cultura edonistica del vino, soffermandomi sulla profondità spirituale della vita in relazione al vivere e morire. Ampio spazio dedicherò a inediti oggetti liturgici e all’arte sacra.

La mostra sarà allestita eccezionalmente al Palazzo del Vicariato Maffei Marescotti, sede extraterritoriale della Santa Sede, su invito di mons. Liberio Andreatta (Vicepresidente dell’Opera Romana Pellegrinaggi), e si snoderà sostanzialmente lungo le sale del Centro culturale “Card. Ugo Poletti”, sito al primo piano dello storico palazzo vaticano. Dove spero di attenderla insieme ai suoi lettori appassionati di mitologia bacchica o di arte sacra: ne sarei onorato».

RASSEGNA STAMPA

Testo di Elisabetta Di Dio Russo, da www.erzebeth.it, quindicinale culturale, numero 8, 10 luglio 2010.

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